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SCENT OF A WOMAN - PROFUMO DI DONNA
(SCENT OF A WOMAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 aprile 1993
 
di Martin Brest, con Al Pacino, Chris O'Donnell, James Rebhorn (Stati Uniti, 1993)
 
"Nemmeno il PROFUMO DI DONNA primitivo, quello del 1974, era un film perfetto: il tempo lenisce anche le ferite al buon gusto, ma se Dino Risi era bravissimo nel tenere al morso uno straripante quanto portentoso Vittorio Gassman, il melodramma napoletano si faceva nel finale di grana grossa, e la comicità sollecitava a tratti le platee più facili. I difetti del manico della commedia all'italiana, indulgiamo oggi: riferendoci ormai alle cose migliori del film, come all'indimenticabile esuberanza del tracotante protagonista. Succederà la stessa cosa anche con questo rifacimento all'americana?

Il primo PROFUMO DI DONNA aveva sul secondo un bel vantaggio a monte: si basava su una solida struttura, quella che Ruggero Maccari aveva tratto dal romanzo di Giovanni Arpino, "Il Buio del il miele". In questo SCENT OF A WOMAN, gli americani (che pure, in fatto di sceneggiature non sono certo dei grulli) hanno pensato bene di fondere due storie. Quella del cieco iracondo e fremente, che fiuta le donne a distanza, e vive per esse: è l'ex-colonnello Frank Slade che, per sfuggire alla malinconia della sedia a dondolo in casa della figlia, vuole offrirsi un ultimo viaggio a Manhattan, dormire al Waldorf Astoria, cenare all'Oak Room, portarsi a letto la bionda, e poi spararsi. E quella di Charles, adolescente dalla faccia pulita, che gli fa da guida per farsi le vacanze. Ma che è vittima del ricatto del preside: o denuncia i compagni che hanno organizzato il solito scherzo, o può dare addio alla borsa di studio ed a Harward. Non fare lo sciocco, denuncia, denuncia, gli ripete il pragmatico colonnello quando ormai gli si è fatto amico: salvo perorare la causa dell'integrità, i valori eterni del cittadino onesto, in un finale encomiabile e un tantino caramelloso.

L'operazione riesce quindi a metà. Se da un lato permette agli autori di farsi un discorsetto sull'America neo-clean del dopo-Bush, dall'altro appesantisce il tutto di dettagli non proprio riusciti: la schematica e faticosa suddivisione nel college fra studenti buoni, poveri, perversi e ricchi, il lungo confronto prima di un suicidio che sappiamo comunque assai improbabile, i rinvii sottolineati ai rapporti padre-figlio (che sostituiscono quelli amorosi della coppia Gassman-Agostina Belli del primo PROFUMO DI DONNA). Ed addirittura un'assurda volata per le strade di New York, con il redivivo cieco al volante di una sgargiante Ferrari...

Ma, proprio come nel film di Risi c'era Gassman, in quello di Martin Brest spadroneggia un formidabile Al Pacino: dire che sia abnorme ed al tempo stesso accorato, crudele e generoso, cinico e ferito me egualmente sensuale, è dire poco. In un film che gli va come un guanto, Martin Brest gli costruisce un paio di scene di quelle che gli spettatori non dimenticano facilmente: il tango dolce ed appassionato con una sconosciuta che gli sedeva accanto al bar, o il pranzo a sorpresa di Thanksgiving, con la famiglia del fratello che ha i soliti conti da sistemare.

È tanto, è poco? Diciamo che è sufficiente al piacere, troppo poco per fare un gran film. SCENT OF A WOMAN vive su gli attori, e su quel paio di scene. Avrebbe potuto svilupparsi benissimo in qualche scena teatrale: la dimensione cinematografica non gli aggiunge un granché.

Com'è strano il cinema: lo stesso Al Pacino spadroneggia egualmente sovrano in un film eminentemente "teatrale", non ancora apparso sui nostri schermi, GLENGARRY ROSS. Ma, in quel caso, la cinepresa sembra entrare come un bisturi nella struttura rigidamente teatrale: per imporre un proprio ritmo, per dettare nuove leggi, nuove emozioni ed illuminazioni. Qui è confinata ad osservare l'esibizione dei protagonisti, ad inserirli al massimo in una cornice appropriata.

Una parente povera: priva d'olfatto, in un film nato per sniffare."


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